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Perché Marchionne è ancora il paladino degli hedge

Sergio Marchionne, 65 anni.

È stata, grazie alla Cina, la regina della Borsa in estate. Ma la settimana scorsa il titolo Fiat Chrysler ha perduto in poche ore il 6% abbondante, la peggior caduta da maggio, sull’onda della notizia che Pechino aveva deciso di dettare regole più severe sull’import di Alfa Romeo e Maserati. Una reazione probabilmente eccessiva, a meno di non tener conto della forte rivalutazione del titolo (+63%) innescata dai rumor estivi su presunti contatti, mai confermati, tra i produttori made in China e il gruppo italo-americano. Lo scivolone, però, offre l’occasione per fare il punto sul mondo a quattro ruote nell’ora dei numeri. Domani arriveranno i conti di Fiat Chrysler, ma anche quelli di General Motors. Giovedì toccherà a Ford, venerdì a Volkswagen. La parata era stata aperta la settimana scorsa da Daimler, che ha accusato un calo dei profitti operativi da 4,05 a 3,46 miliardi di euro, soprattutto a causa dei problemi connessi con il dieselgate.

Il tema delle regole – combinato con l’accelerazione imposta da vari paesi, Cina in testa, al passaggio all’auto elettrica, oltre alla spinta verso la guida autonoma – è destinato a dominare la scena, al di là dell’andamento delle vendite del trimestre che, per quanto riguarda il gruppo capitanato da Sergio Marchionne, dovrebbe segnalare, secondo gli analisti, una frenata degli utili trimestrali (1,9 miliardi secondo Goldman Sachs). I mercati, di fronte alla marea di novità e di indicazioni anche confuse sul futuro del settore, preferiscono guardare oltre, alla ricerca dei possibili vincitori che, per paradosso, possono trovarsi sia tra chi è all’avanguardia, sia tra chi insegue.

La linea l’ha dettata un report di Goldman sul settore europeo, uscito venerdì scorso. L’Europa, è la tesi del broker Usa, è alla vigilia di una possibile, gigantesca ristrutturazione a suon di M&A che nei prossimi anni potrebbe fare emergere un incremento di oltre il 50% dei valore dei titoli per un totale superiore ai 400 miliardi (contro una capitalizzazione complessiva attuale attorno ai 250 miliardi). Il processo sarò guidato da tre driver: 1) La vendita degli asset non strettamente automotive; 2) La ricerca di risorse per far fronte agli enormi investimenti necessari per sostenere la transizione verso l’elettrico e rispondere alle richieste delle autorità regolatorie. C’è chi prevede che l’elettrico salirà al 25-30% del mercato entro la fine del decennio, mobilitando risorse multimiliardarie; 3) La necessità di disporre di strutture più snelle e flessibili pronte a sfruttare i nuovi scenari, a partire dalle innovazioni necessarie per cavalcare i trend emergenti, da Uber al car sharing.

In sintesi, i big dell’automotive dovranno concentrare i loro sforzi, rassegnarsi a collaborazioni sia dentro che fuori settore. Soprattutto sarà necessario evitare dispersioni di forze o inutili doppioni. Qualcosa di non molto dissimile da quanto predicato a suo tempo da Sergio Marchionne, il maestro nell’arte del copia e incolla industriale che nel corso di questi anni è riuscito a sostenere la marcia dei titoli del gruppo a suon di scorpori e di separazioni, un trend che proseguirà con la separazione (e successiva quotazione) di Magneti Marelli già l’anno prossimo, mercati permettendo. In questa materia, del resto, lo split di Ferrari è ormai un caso di scuola: +123% dalla quotazione a inizio 2016. Un successo che non sarà facile ripetere, ma che ha suscitato l’attenzione dei competitor. Il colosso tedesco Daimler si avvia a dividersi in tre, da una parte Mercedes, dall’altra i veicoli industriali, infine il braccio finanziario. Potrebbe puntare in quella direzione Volkswagen, invertendo la rotta seguita nel decennio scorso. E così via, magari anche attraverso la combinazione di (ex) concorrenti costretti a collaborare sotto tetti comuni per poter sviluppare imprese globali ad alta intensità di capitali e di sforzi manageriali (vedi il car sharing o l’auto a guida autonoma, ove i grandi nomi della tecnologia hanno bisogno delle competenze tradizionali e viceversa).

In sintesi i dinosauri del passato, più indietro degli altri sulla strada dell’innovazione, possono risalire la corrente e rimettersi in corsa sulla scia dei big più esposti sul fronte finanziario, messi a rischio dalla complessità della sfida da loro avviata. Per questo sia Goldman Sachs che Morgan Stanley e gli altri gruppi leader dell’analisi del settore stanno praticando da mesi il gioco dello spezzatino: individuare i gruppi disposti a partecipare a questo strano Lego, complicato tra l’altro dalla rigidità di governi e sindacati (Volkswagen ha ricevuto un secco no dai lavoratori tedeschi di fronte alla prospettiva di cedere Ducati). Per questo, nonostante evidenti fragilità e la curiosa ostilità all’auto elettrica Marchionne resta il paladino degli hedge. Nessuno come lui si è rivelato altrettanto abile nell’arte di trasformare le proprie debolezze in altrettante forze. Anche se nel breve non mancheranno le tensioni: in vista della fine dell’anno, cresce la tentazione di tradurre in moneta sonante le plusvalenze accumulate.

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