James Dyson ha presentato il nuovo Dyson AirWrap, acconciatore per i capelli. (Courtesy Dyson)

Articolo tratto dal numero di dicembre 2018 di Forbes Italia.

Dominando i flussi d’aria James Dyson ha costruito un impero e i suoi venti non si fermano. Dopo aver tolto all’aspirapolvere sacchetto e filo, portato sul mercato purificatori d’aria e asciugacapelli tecnologicamente avanzatissimi, si è presentato a Parigi per il lancio del nuovo Dyson AirWrap, che per le donne è un acconciatore per i capelli e per gli ingegneri un risultato prodigioso della fisica applicata. Funziona infatti grazie all’effetto coanda, che fa sì che i capelli si avvolgano praticamente da soli per poi uscirne lisciati, in boccoli o ondulati senza essere rovinati da alte temperature.

Dyson, un giovanile, 71enne, design engineer parlerebbe per ore della tecnologia, di velocità e dei suoi laboratori di ricerca sulla struttura del capello, meticolosi come quelli della Nasa. Ma a chi chiede degli obiettivi di vendita lui risponde: “Alla Dyson non ragioniamo secondo queste categorie”. Passione pura per la scienza e indifferenza al mercato?

Se la prima è verissima, per la seconda è meglio un forse. Dyson oggi è una global technology company con attività ingegneristiche e di test in Malesia, Singapore, Filippine e Uk. Fattura 3,5 miliardi di sterline (più 40% nel 2017) con un margine lordo in crescita di 801 milioni. Conta 12mila dipendenti, un terzo dei quali sono ingegneri, esporta in 80 paesi e continua a investire in tecnologie del futuro (2,5 miliardi di sterline) con l’obiettivo dichiarato di lanciare 100 nuovi prodotti nei prossimi quattro anni.

James Dyson, secondo le stime di Forbes, ha un patrimonio netto di 5,6 miliardi di dollari. (Courtesy Dyson)

James Dyson forse non pensa al mercato quando inventa, ma la sua azienda lo fa. Il manifesto della sua Dyson infatti è ben espresso all’interno del campus di Malmesbury, a due ore da Londra. Lì fa bella mostra di sé il motore del Concorde, aereo prodigio della tecnologia che ha rivoluzionato i trasporti ma, che alla fine, ha dovuto arrendersi agli elevatissimi costi di rifornimento, di manutenzione e all’eccesso di inquinamento prodotto. Il mercato ha avuto l’ultima parola anche sul Concorde e quel motore per Dyson è come una musa. “Ci racconta che con la tecnologia e la ricerca ci si può sempre spingere oltre il limite”, dice sempre ai suoi collaboratori. Lo ha fatto con gli aspirapolvere e si propone di farlo anche con l’auto elettrica, sul cui sviluppo ha investito 200 milioni di sterline trasformando gli storici hangar della seconda guerra mondiale dell’Hullavington Airfield nel cuore tecnologico dell’auto del futuro. Qui già lavorano 400 persone e la prima Dyson Car è attesa per il 2021. Di più mr Dyson non dice. Perché da buon inglese tiene in gran conto il valore della riservatezza.

Di certo si sa che l’auto sarà un prodotto interamente Dyson, realizzato senza appoggiarsi a tecnologie esistenti e che oggi può già contare su un motore digitale costato 300 milioni di sterline per lo sviluppo e su studi avanzati sulle batterie in solido che Dyson porta avanti da tempo. “Un’auto è una grande sfida”, sottolinea. Come lo è stato per lui lo sviluppo di qualsiasi prodotto. La sua storia nasce con l’invenzione del primo aspirapolvere ciclonico senza sacchetto, che riuscì a realizzare dopo migliaia di prototipi e cinque anni di lavoro. Dyson lo brevettò e lo propose all’americana Hoover, trovando però supporto solo in Giappone dove il suo G Force senza sacchetto vinse nel 1991 La Fiera internazionale del design.

Furono i proventi della licenza giapponese che permisero a Dyson di mettersi in proprio e affrontare il mercato inglese, senza riuscire però a decollare. Lo fece finalmente quando ottenne milionari risarcimenti vincendo la causa contro la Hoover, l’azienda che dopo avere rifiutato i suoi brevetti li aveva copiati. E vent’anni dopo, la Dyson è diventata un colosso che lo scorso anno ha raggiunto il traguardo di 100 milioni di macchine prodotte. È nata come impresa familiare è decisa a mantenere le sue radici nella famiglia. In azienda è già entrato Jake, il primogenito di James, unico ingegnere dei suoi tre figli. E per perpetuare la filosofia e l’approccio del vulcanico miliardario, accanto al quartier generale di Malmesbury, è nato il Dyson institute of engineering and technology, un corso di laurea quadriennale alternativo a quello tradizionale per formare specialisti come piacciono e servono al fondatore: un po’ ingegneri, un po’ designer e un po’ scienziati.

(Courtesy Dyson)

“La Gran Bretagna ha una grave carenza di laureati in ingegneria, che sta minacciando la scienza, la tecnologia e il settore della progettazione” spiega James Dyson. “I nostri studenti svilupperanno competenze insieme con professionisti di fama mondiale, creando prodotti reali che non faranno solo parte del loro curriculum accademico ma saranno realizzati e raggiungeranno le case del mondo intero”. Insomma, un approccio pratico e concreto, in un’università che non prevede rette da pagare e che anzi garantisce da subito un piccolo salario con la prospettiva di ottenere assunzione e piena retribuzione al termine degli studi. Nell’università, in collaborazione con il ministero dell’Università e della scienza britannico, Dyson ha investito 22 milioni di sterline e vi sta formando i primi 33 futuri ingegneri.

“Ho sempre avuto l’idea di liberare i motori dagli inquinanti”, ha dichiarato. Si è cimentato con i camion e i diesel, ha inventato purificatori per ambienti che fanno respirare meglio in casa che fuori e adesso le sue energie si concentrano sull’auto elettrica. Arriveranno anche gli aerei? Il motore del Concorde è lì a ispirare, gli hangar aeronautici sono già stati trasformati in laboratori, e con James Dyson, appassionatissimo di volo, non si può mai sapere.

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