Innovation

La scaleup italiana di viaggio Musement riparte dai € 60 milioni di fatturato

Alessandro Petazzi, ceo di Musement. (Courtesy Musement)

Articolo tratto dal numero di febbraio 2019 di Forbes Italia.

Prima ancora di decidere che cosa fare, Alessandro, Fabio, Paolo e Claudio avevano chiaro in mente l’obiettivo: creare un’impresa globale, pur facendo startup in Italia. Cinque anni dopo hanno fatto gol e il 2019 sarà l’anno della partita per il campionato del mondo. La storia di Musement è di quelle che fanno bene al morale del cosiddetto ecosistema italiano dell’innovazione e, allo stesso tempo, ne mostra i limiti: crescita al raddoppio ogni anno, 15 milioni di capitali raccolti e poi la exit, cioè l’acquisizione da parte di un partner industriale internazionale: Tui Group, primo operatore turistico a livello mondiale, acquisisce Musement a fine 2018. Esattamente al quinto anno, come da manuale della perfetta startup. Un fenomeno, visto che in Italia, secondo i dati dell’Osservatorio Startup Hi-Tech del Politecnico di Milano, nel 2018 ci sono state solo cinque exit e tutte di portata limitata. Tranne quella di Musement.

“Sembra tutto facile adesso, ma ne abbiamo viste di tutti i colori e abbiamo avuto momenti difficili”, racconta Alessandro Petazzi, 44 anni, un passato da manager Fastweb, il chief executive officer, che nel 2013 con Fabio Zecchini, chief technology officer, Paolo Giulini, responsabile del ticketing, e Claudio Bellinzona, chief operating officer, decide di tentare l’impresa. I quattro si conoscono per motivi di lavoro, condividono la passione per l’arte e si fanno ispirare da una frustrazione: “Ogni volta che organizzavamo un viaggio per andare a vedere una mostra dovevamo entrare in tanti siti diversi. Perché non mettere su un unico sito mostre e musei di tutto il mondo?”.

“L’obiettivo è superare i 60 milioni di fatturato e continuare ad addensare un mercato iper-frammentato”

Nasce così Musement, piattaforma per la vendita di esperienze di viaggio. Non c’è solo una passione, però. “Se siamo andati avanti, è perché abbiamo visto la possibilità di un business senza confini”, ricorda Petazzi. “Vedevamo che chi faceva già questo lavoro, una startup americana e una tedesca, aveva come bestseller Roma. Ci siamo allora detti: perché non può nascere in Italia il miglior servizio digitale per chi viaggia?”. Così prende forma il booking dei servizi a terra, come si chiamano in gergo tecnico tutto ciò che non sono voli e hotel: dalla mostra d’arte all’escursione in elicottero, dal concerto di Capodanno a Vienna al corso di cucina in Toscana.

La passione è subito contemperata da un concreto senso imprenditoriale. “Facciamo ricavi sin dal primo giorno”, racconta Petazzi, ripensando all’escalation del fatturato: 340mila euro nel 2014, quasi 9 milioni nel 2017, circa 20 a fine 2018. Non a caso Musement sale sul podio della classifica del Sole24Ore tra le imprese italiane con il maggiore tasso di crescita. Compra persino una startup negli Stati Uniti, nel 2017. È già una scaleup, cioè una startup ad alto potenziale, o, come dice qualcun altro, un’impresa destinata a rimanere: offerte di servizi in 80 nazioni per circa un migliaio di destinazioni con un team dove si contano 18 diverse nazionalità. Con questi numeri non poteva non attirare l’attenzione di chi fa il mercato dell’intrattenimento in viaggio: nel 2018 arriva la proposta di matrimonio di Tui, un gruppo tedesco, ma di respiro internazionale, da 20 miliardi l’anno, che apre prospettive prima impensabili per Petazzi e il suo team. Ha 20 milioni di clienti e l’effetto si vede subito sul lavoro di Musement e si vedrà sui conti del 2019. L’obiettivo è superare i 60 milioni di fatturato e continuare ad addensare, grazie al digitale, un mercato particolarmente frammentato: più del 90% delle circa 350mila aziende che lo animano hanno un fatturato inferiore al milione di euro. “Musement non è andata a caccia di clienti”, spiega Petazzi. “Ma ha investito su una piattaforma tecnologica di qualità che offre i suoi servizi al turista ma anche alle agenzie e a tutti gli operatori offline che possono così presentare i loro prodotti in maniera semplice e a un’audience internazionale. Guardando ai giganti tech dell’Asia o della Silicon Valley, siamo fieri ed orgogliosi di aver realizzato in Italia questo obiettivo, che ha avuto un grande peso sull’intera operazione con Tui”.

Aver sviluppato in Italia una tecnologia fatta di machine learning e intelligenza artificiale valutata positivamente da un grande compratore internazionale non è, oltre quella economica ovviamente, l’unica soddisfazione di Petazzi e del suo team. Musement non si dissolve in Tui, ma resta una divisione ben identificata del gruppo: “Sono stati molto chiari, anche in fase di trattativa: ‘siamo molti forti nella gestione offline’, hanno detto, ‘ma quello che voi avete fatto con la piattaforma tecnologica a noi manca completamente’. Saremo quindi una sorta di Digital Fab interno al gruppo. L’acquisizione è stata considerata un modo per accelerare la trasformazione digitale di Tui”. Sul brand invece si può discutere: Musement resterà dove funziona, ma altrove potrà anche cambiar nome. “Sarà una scelta da valutare caso per caso, più operativa che sostanziale”.

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