Responsibility

Come i big data stanno cambiando l’agricoltura

(Shutterstock.com)

Articolo tratto dal numero di aprile 2019 di Forbes Italia. Abbonati.
Di Enzo Argante

Trattori robot, capannine metereologiche, tessitura del suolo, mappe di vigore vegetativo e di maturazione. Se la tecnologia è la frontiera della nuova agricoltura 4.0, l’agro big data, un sistema di informazioni che attraverso punti di ascolto digitali condivisi consente di sfruttare al massimo le potenzialità produttive del terreno, è il suo profeta. Colui che tutto sa e provvede, ogni cosa dispone e che in poco più di trent’anni deve rivoluzionare i concept di produzione di ciascun metro quadrato di terra. In palio c’è il fabbisogno (e il business) alimentare del pianeta.

Ecco perché Genagricola, la più grande azienda agroalimentare italiana, è in trincea e il suo amministratore delegato, Alessandro Marchionne, al lavoro con una task force di agronomi e ingegneri pronti a dare battaglia: sotterrata la zappa di guerra, bisogna sostituirla con le potenti e intelligenti spade laser della tecnologia digitale.
“La visione monodimensionale dell’agricoltura è superata da tempo”, premette Marchionne, “dobbiamo affrontare la complessità partendo da un dato: l’80 per cento delle terre coltivabili è già utilizzata e il 20% è difficilmente recuperabile. Aggiungiamo le problematiche legate al cambiamento climatico in corso e il fatto che entro il 2050 saremo quasi 10 miliardi di persone sulla Terra…”.

È difficile gestire lo scenario prospettato da questi numeri con le soluzioni indicate dalla Fao: aumentare la produzione tra il 60 e il 110 per cento, possibilmente senza turbare ma salvaguardando l’equilibrio ecologico. Una sorta di mission impossible: “Bisognerà sviluppare la capacità di produrre di più, con più qualità sul prodotto finito, ma soprattutto ottimizzando i processi di produzione. Lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile diventa un imperativo categorico. Dobbiamo partire da questa consapevolezza e responsabilità. In sintesi dobbiamo cambiare registro e ragionare su più dimensioni contemporaneamente”.

Alessandro Marchionne, amministratore delegato di Genagricola.

In un sistema agricolo polverizzato come quello italiano, Genagricola ha numeri e titoli per fare da apripista: controllata da Generali Italia, tra le principali in Europa, aggrega 25 realtà agricole per un totale di 15mila ettari di terreno tra Italia e Romania e 900 ettari di vigneti in Veneto, Friuli, Piemonte, Romagna e Lazio. 4 milioni di bottiglie distribuite in tutto il mondo attraverso otto brand. Nell’agricoltura di precisione è già attiva per “un miglioramento quantitativo e qualitativo della produzione agricola, riduzione degli impatti ambientali e taglio dei costi. È un percorso win win di enorme portata strategica per il futuro del pianeta”.

Il riferimento chiave è l’agro big data, sistema di informazioni che attraverso punti di ascolto digitali condivisi – anche fra i vari imprenditori – consente di sfruttare al massimo le potenzialità produttive. “Le informazioni arrivano dal Gps dei trattori, dalle capannine metereologiche che misurano la piovosità, il vento, l’irraggiamento solare, la bagnatura fogliare; dalle analisi chimico – fisiche dei terreni (tessitura del suolo e dotazione chimica dei micro e macro elementi); dalle mappe di vigore vegetativo (attraverso foto satellitari è possibile capire se le piante sono sotto stress o in carenza idrica); da quelle di maturazione delle produzioni. In questo modo si creano mappe di prescrizione e modelli previsionali sullo stadio di sviluppo della pianta”.

Più che 4.0 verrebbe voglia di chiamarla agricoltura chirurgica ed è evidente che questa rete capillare rende credibile il raggiungimento degli obiettivi: diminuire il consumo energetico, quello idrico e l’impatto ambientale; aumentare la produzione, la qualità del prodotto, la redditività.

Serve tecnologia d’avanguardia, quindi investimenti e un sistema di imprese forte e compatto in grado di sostenerli. “È determinante una visione chiara da parte dell’azienda che deve coinvolgere la forza lavoro e sostenere un confronto aperto fra coltivatori e fornitori di servizi per lavorare a partnership di lungo periodo. Da soli non si va da nessuna parte. Anche perché c’è un gap tra l’offerta di competenze e la domanda di nuove professionalità: in Italia vi è solo un master di secondo livello in agricoltura di precisione e qualche workshop organizzato da strutture private”.

Non è un caso che solo l’1% della superficie agricola italiana sia coltivata con l’agricoltura di precisione. E anche in questo il ruolo delle imprese è fondamentale. Genagricola, per esempio, ha avviato la sperimentazione dei primi sistemi di guida assistita su alcuni trattori e elaborato un piano orientato all’agricoltura di precisione: “I modelli previsionali sono già stati implementati nelle aziende più estese del gruppo. L’inserimento di giovani diplomati e laureati formati alle nuove competenze ci mette nelle condizioni di operare correttamente in questa direzione”.
L’agricoltura, dalle nostre parti, è vissuta un po’ come la cenerentola dei sistemi produttivi. Ma non è così, come ben sanno in Usa e in Cina. Peccato perché nel campo agroalimentare, l’Italia non è seconda a nessuno. Una partita che forse vale la pena giocare fino in fondo.

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