Massimo Bottura, 12 lezioni di cucina su MasterClass
Strategia

Le regole del buon leader nelle parole (e nei piatti) di Massimo Bottura

Massimo Bottura e le regole per essere un buon leader
Massimo Bottura (Courtesy of MasterClass)

“Un leader è un buon capo che guida il gruppo al successo” è una delle definizioni che di solito vengono date alla leadership, intesa come capacità di sapersi dare un obiettivo e raggiungerlo insieme a una squadra. Eppure tra quello che ci si propone di fare e quello che in realtà succede, ci sono di mezzo deviazioni, tensioni, strade alternative da percorrere e non preventivate, tempistiche che si allungano e fanno credere che il percorso non sia quello giusto e che forse bisogna abbandonare tutto.

Succede in ogni settore: dalla musica al calcio passando anche per il mondo della cucina. Dietro uno chef stellato, per esempio, si possono nascondere voglia di sperimentare mista a delusioni, tragedie sociali che però accendono delle lampadine, piatti che piacciono ma che non portano subito gli agognati riconoscimenti, come ha raccontato Massimo Bottura, durante il Leadership Forum organizzato alcuni giorni fa a Milano da Performance Strategies.

Cultura e qualità delle idee alla base della leadership

Uno chef tra i più ambiti che “dietro le cucine si emoziona ancora e mantiene gli occhi curiosi di bambino” e che quando aprì il suo ristorante in via Stella a Modena (oggi la famosa Osteria Francescana) promise al padre: “Un giorno porterò in città le 3 stelle Michelin. Era questo il mio unico business plan”. Massimo Bottura, negli anni, ha portato nei suoi piatti identità, prospettiva, tecnica, provocazione e memoria. “In via Stella non abbiamo paesaggi particolari, l’unico è la cultura che amplia i nostri orizzonti e apre infinite possibilità. La nostra attenzione in cucina guarda a come le idee prendono forma, ispirate dalla natura nella parte estetica e motivate, ora più che mai, da scelte sociali. Chi viene da noi, lo fa non tanto per mangiare bene, ma per masticare emozioni”.

Eppure il percorso dell’Osteria Francescana non è stato agevole, anzi, è stato contrassegnato da diversi tentativi e sperimentazioni che piacevano sì, ma non portavano alla meta prefissata. Come quando,“rompendo con la tradizione” lo chef emiliano creò un piatto con “i tortellini che camminavano sul brodo in semi-gelatina” o un altro in cui mise diverse forme di Parmigiano con diverse stagionature. “48, 58, 50 mesi: quel piatto aveva 2 soli ingredienti: il Parmigiano e il tempo”. Ma non ottenne la tanto ambita stella che invece arrivò quando stava per abbandonare tutto per andare a Londra, ma decise, su suggerimento della moglie, di darsi un altro anno di tempo. Furono delle tagliatelle al ragù speciali a smuovere il tutto, partendo come sempre dalla tradizione: “Ho cominciato da quello che mia nonna – che doveva cucinare – e mia mamma – cui piaceva – facevano e da lì ho iniziato ad applicare le nuove tecniche. Un critico gastronomico si fermò nell’osteria per un incidente stradale, arrivò in incognito e quando uscì disse ‘È la più grande tagliatella che abbia mai mangiato’. Il caso ci ha messo il suo, ma anche la costanza e mia moglie che mi ha convinto a tentare ancora”.

Determinante, dunque, è stata la qualità delle idee, ma anche il prendere spunti dal mondo dell’arte, sapere affrontare le sfide confidando che: “Ogni uomo è un artista, basta che sia solo cosciente di quello che fa”. Tenere a mente questo, per se stesso ma soprattutto per gli altri è, secondo lo chef stellato, ciò può fare di un leader un buon leader. Senza dimenticare il contributo che con il proprio lavoro si può dare alla società.

“Quando ci fu il terremoto nel 2012, c’erano tantissime forme di Parmigiano andate danneggiate e bisognava venderle al più presto, fu allora che il Consorzio mi chiese cosa potessi fare per aiutare la mia terra”. Ancora una volta la “qualità” delle idee gli venne in soccorso. Massimo Bottura creò il riso cacio e pepe, con il “riso da Finale Emilia (colpita dal terremoto) e sostituendo il pecorino con il Parmigiano in una ricetta in cui era richiesto tanto formaggio. Da quel momento il mondo ha cucinato cacio e pepe, ordinando tantissime forme di Parmigiano: siamo arrivati a vendere tutte le 360mila salvando il lavoro di molte persone”.

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