La capacità di reclutare le risorse giuste è una delle competenze più importanti per un manager. Avere accanto a sé le persone più adatte al proprio gruppo di lavoro, si sa, è davvero strategico. Anche perché senza il team giusto non si va da nessuna parte. Dunque cosa c’è di nuovo nel 2020 per quanto riguarda le tendenze in ambito recruitment? Ho identificato cinque trend, cinque trend di cui vi parlo anche nel nuovo episodio del podcast Job Trends che qui potete ascoltare. Ecco quali sono i 5 trend del recruitment nel 2020:

1. Finora si è reclutato riservando attenzione massima alle performance, agli achievement: motivo per cui gli hard skill sono spesso percepite come le più importanti in un processo di selezione. Un altro grande fattore, altrettanto importante, è il “fit culturale”, ossia quella sintonia che ci deve essere tra i valori di cui è portatrice l’azienda e quelli di cui è portatore il candidato: un fattore che, come sappiamo bene noi headhunter, non va mai sottovalutato, perché ci può essere un candidato eccellente che semplicemente non “fitta” in una determinata azienda. Il 2020 è invece, finalmente, l’anno dei soft skill, degli skill sociali ed emozionali, che sono i veri fattori chiave del successo del recruitment di una persona e anche del suo successo professionale in una certa azienda, soprattutto nel medio lungo periodo. Massima attenzione pertanto ai soft skill.

2. L’importanza della candidate experience: è fondamentale, per attrarre i talenti migliori, i più adatti alla nostra azienda, offrire una candidate experience assolutamente coerente, che parte con una comunicazione adeguata dei valori dell’azienda, passa attraverso un processo di recruitment il più possibile consonante con quello che l’azienda è e vuole essere. La candidate experience parte nel momento in cui un candidato viene a sapere di una posizione aperta, procede nei contatti con il recruiter (o con la società di selezione), e arriva fino alla fine del processo, quando il processo di selezione si chiude con una assunzione o con l’abbandono del processo stesso. Una candidate experience negativa in qualche suo elemento non è da sottovalutare, può danneggiare la reputazione dell’azienda, soprattutto se reiterata nel tempo.

3. La tecnologia – così come l’intelligenza artificiale di cui si parla molto ma che ancora non è pienamente entrata nel processo di recuitment, soprattutto ad alti livelli – può aiutare a risolvere un problema che dura da diverso tempo: la tendenza dei manager di volere intorno a se persone identiche a quello che sono loro, perpetrando dei bias di selezione che portano a team di lavoro omogenei, in cui la diversità, che invece è un fattore chiave dell’innovazione, è poco presente. Il “blind recruitment”, in cui prima del processo di selezione si arriva a una scelta dei cv senza bias (pre-giudizi), può essere molto utile.

4. La gig economy, definita impropriamente l’economia dei lavoretti: si va verso la creazione di una specifica categoria di lavoratori, dei freelance che vanno a porsi tra le aziende e i lavoratori a contratto fisso. E’ un’area soggetta a normazione, come sappiamo. Quello che è certo è che alcune professioni, soprattutto creative, non sono adatte a un contratto fisso, e il recruitment ne deve tenere conto. Insomma, anche noi recruiter ci occuperemo sempre più di reclutare anche freelance, non solo persone con contratto a tempo indeterminato, e anche per profili alti.

5. Employer branding sui social media: l’employer branding non è un concetto nuovo, come sappiamo si tratta della creazione della reputazione che un’azienda si costruisce come datore di lavoro. L’employer branding sui social media, dove le persone spendono parecchio tempo ogni giorno, è sempre di più un ottimo modo per fare dell’employer branding proattivo. La cultura di un’azienda, non dimentichiamolo, è uno dei motivi principali per cui un candidato sceglie un’azienda piuttosto che un’altra, al netto di posizione offerta e package. Soprattutto i giovani sono molto attenti a questo tema; per esempio, mi è capitato di sentire dire: “non vado in quella azienda perché c’è un’atmosfera troppo competitiva”; o ancora: “l’azienda xy non permette un buon work life balance”. Temi soft ancora una volta, da non sottovalutare affatto se si vuole portare a bordo le risorse migliori. L’employer branding sui social può essere utile, soprattutto quando corrisponde a verità.

 

Ascolta Job Trends, il podcast di Roberto D’Incau, su Forbes.it nella sezione dedicata ai podcast, ma anche su Spreaker, Spotify, Apple Podcast e Google Podcast.

 

Tutte le puntate di Forbes Job Trends:

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .

Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .