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Cosa rimane dell’eredità di Adriano Olivetti a 60 anni dalla scomparsa

Adriano Olivetti nel 1958 (Keystone Features/Getty Images)

Dell’azienda di famiglia Adriano Olivetti intese assai presto fare un “laboratorio del futuro”. Lo ricorda un passaggio della fiction che nel 2013 gli ha dedicato la Rai, in cui lo si vede intento ad abbattere i muri del complesso di Ivrea per aprire lo sguardo dei dipendenti sul bellissimo paesaggio piemontese attraverso quelle che presto saranno enormi e innovative vetrate.

Visionario, imprenditore, editore, politico e urbanista, Olivetti è noto al grande pubblico per i celebri modelli che hanno fatto della Olivetti un mito senza tempo, come l’iconica macchina da scrivere portatile Lettera 22 che dalle mani di Indro Montanelli è passata direttamente in esposizione al Moma di New York, il più importante tra i musei di arte contemporanea.

Ma Olivetti è stato anche uno di quegli imprenditori illuminati che hanno contribuito a rivoluzionare l’idea stessa del fare impresa. Non soltanto perché, come ricorda la Fondazione a lui intitolata e che dalla sua scomparsa sessant’anni fa si prodiga per divulgarne valorizzandolo il pensiero, Olivetti è stato fautore dell’organizzazione decentrata del personale, delle direzioni per funzioni, della razionalizzazione dei tempi e metodi di montaggio, dello sviluppo della rete commerciale in Italia e all’estero; ma soprattutto perché ha implementato una rete di servizi sociali a beneficio dell’intera comunità dei lavoratori della Olivetti. Un precursore della sostenibilità e di quello che oggi viene definito welfare aziendale.

Ma cosa è rimasto oggi di questo “laboratorio del futuro” che ha portato Ivrea ad essere riconosciuta dall’Unesco patrimonio dell’umanità?

Fondata nel 1908 dal padre Camillo cui Adriano è subentrato nel 1932 per essere poi sostituito dopo la tragica scomparsa per emorragia cerebrale nel 1960 dal figlio Roberto, la Olivetti ha visto entrare nuovi soci ed è passata attraverso un ventennio sotto il controllo di Carlo De Benedetti fino a che, nel 2003, è entrata a fare parte del gruppo Tim. Oltre un secolo di storia, non senza dover passare anche attraverso momenti di difficoltà, che ha messo alla prova la tradizione della Olivetti.

Dopo aver giocato un ruolo da pioniera nelle macchine da scrivere e per il calcolo, la Olivetti, virata già a suo tempo dalla meccanica al digitale, guarda oggi a settori che sono altrettanto all’avanguardia nei ragionamenti di ampie fette di imprenditoria mondiale come, per esempio, l’information technology dove con i suoi prodotti e servizi costituisce, di fatto, il polo digitale di Tim. Ma anche i settori del machine to machine, dell’internet of things, dei big data, del cloud computing e della multicanalità evoluta.

Settori nei quali è sempre più arduo eccellere, ma dove Olivetti combatte per ritagliarsi un suo ruolo tutto italiano, con oltre 400 dipendenti, una rete commerciale in 30 Paesi e un fatturato che nel 2018 ha raggiunto i 225 milioni di euro.

Degno di nota anche l’impegno per l’alfabetizzazione digitale, a scuola e non solo: un nuovo muro da abbattere che non sarà fatto di cemento ma che è altrettanto importante sfondare. L’ultimo progetto in questo campo, in ordine di tempo, in cui Olivetti si è imbarcata è Operazione Risorgimento Digitale di Tim che è destinato all’insegnamento gratuito dell’uso di internet e che, grazie anche alla collaborazione di partner del calibro di Google e Cisco, mira a formare 1 milione di cittadini in Italia.

Un’eredità importante, quella di Olivetti, e una missione che non si è ancora esaurita ma che si trasforma, con una certezza: come ricorda l’ad di Olivetti Ettore Spigno, infatti, “l’innovazione, l’evoluzione dei modelli e il pensiero avanzato sono nel Dna di Olivetti, che guarda alla sua storia per vivere e ribadire nel presente la sua forza che è e sarà la cerniera del futuro: innovare, innovare e innovare. La nostra forza è la forza delle nostre persone”.

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