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Richard Branson ci ha raccontato i suoi sogni spaziali

Richard Branson
Richard Branson (Drew Angerer/GettyImages)

Articolo tratto dal numero di febbraio 2020 di Forbes

di Angela Antetomaso

Da giornalista finanziaria, da molti anni di base a Londra, ho sempre desiderato intervistare Richard Branson. Quando mi hanno detto che avrei potuto farlo al termine di un evento della Virgin Galactic a New York, non ho esitato: ho preso un biglietto aereo e son partita per la Grande Mela. Ovviamente mai pensare che gli eventi organizzati da Richard Branson e il suo team siano “normali” press meeting: tanto per cominciare questo si teneva in una località segreta. A me e a una manciata di altri giornalisti è stato dato appuntamento in un hotel di lusso nel centro di Manhattan: dopo una lauta colazione ci è stato chiesto di salire su un elegante shuttle bus, e senza avere idea di cosa ci aspettasse, siamo stati portati a circa un’ora di strada da New York, alla sede di iFly, uno dei più famosi luoghi al mondo per le esercitazioni di paracadutismo. Lì siamo stati intrattenuti da uno spettacolo fuori dell’ordinario: un mix di effetti speciali, con acrobati (rigorosamente vestiti da astronauti) che si libravano nell’aria tra giochi di luce – e che sembravano davvero volare. Alla fine di tutto, una gran folata di vento…e come dal nulla è apparso Richard Branson – ovviamente, inutile dirlo, anche lui in versione astronauta. Bisogna ammetterlo: Branson sa sempre come fare un’entrata a effetto.

Subito dopo siamo entrati nel vivo dell’evento: e se quest’ultimo è stato affascinante, l’incontro a tu per tu con Richard Branson lo è stato ancor di più. Vestito con una tuta spaziale blu cobalto, mi aspettava dopo la conferenza stampa in una saletta allestita appositamente per l’intervista. Mi ha accolto con un grande sorriso e un panino in mano: “Piacere, sono Richard. Scusa se mangio qualcosa ma è l’unico momento che ho per farlo”. Ho sorriso anch’io e la mia iniziale emozione è svanita in un attimo.

Aspettando che finisse il panino abbiamo avuto modo di chiacchierare un po’ e di sciogliere il ghiaccio. “Grazie per essere venuta fino a New York per incontrarmi”, mi ha detto. Non credevo proprio lo sapesse, ma evidentemente il suo ufficio stampa era stato molto efficace. Gli ho spiegato che era un vero piacere per me essere lì, e per tutta risposta lui ha aggiunto: “Piacere mio. Certo, dipende con quale compagnia aerea hai volato…”.

Mi ha preso totalmente alla sprovvista: in realtà avevo viaggiato con American Airlines, non con la sua Virgin Atlantic! Sono arrossita, lui ha capito e ci siamo messi a ridere entrambi. Già lì ho compreso che la persona che avevo davanti non era in realtà l’irraggiungibile magnate, l’imprenditore di successo famoso in tutto il globo, ma una persona ‘alla mano’, genuinamente approcciabile, che ha un sorriso per tutti e la battuta pronta.

Abbiamo cominciato l’intervista: quel che più mi ha colpito è che c’erano due telecamere davanti a noi, ma era come se non ci fossero. I toni erano talmente rilassati al punto da sembrare una chiacchierata tra amici. Anche perché, quando in segno di rispetto l’ho chiamato Sir Richard (la Regina Elisabetta lo ha nominato “baronetto” nel 2000 per meriti professionali), per tutta risposta si è messo a ridere e ha sottolineato: “Per favore chiamami Richard. Quando mi chiamano Sir Richard mi sembra di essere un personaggio di una tragedia di Shakespeare”.

Abbiamo parlato un po’ di tutto: della sua ispirazione, dei suoi sogni, la sua carriera, la vita personale, i progetti futuri. Ed è emerso subito il vero ritratto di Richard Branson: un uomo arrivato sotto tutti gli aspetti, che è riuscito ad avere successo (tanto) nella vita, a realizzare i suoi sogni (e quelli degli altri), ma che ha anche avuto la capacità di mantenere il giusto equilibrio tra vita personale e vita professionale. “Sono stato un uomo fortunato. Ho sempre fatto ciò che mi piace. Ho incontrato una donna splendida che è poi diventata mia moglie e con cui vivo una vita felice. Abbiamo due figli e dei nipotini stupendi: non posso proprio lamentarmi”.

Ma non dovevamo parlare di carriera, delle sue imprese galattiche (nel vero senso della parola) e di quanto aveva fatto nella vita? Eppure eravamo lì a parlare della sua esperienza di papà e di nonno. Chi l’avrebbe mai detto che Richard Branson, colui che ha realizzato il sogno di portare l’uomo nello spazio, sarebbe stato lì a raccontarmi che la sua gioia e le sue maggiori soddisfazioni in realtà sono quelle che vengono dalla famiglia?

E non era finita lì: abbiamo parlato dello stretto rapporto che ha con la mamma e dell’educazione che lei gli ha dato, di qualche scappellotto che non è mai mancato e dell’insegnamento ad arrangiarsi da solo sin da bambino – cosa che lui ha poi riconosciuto essere alla base del suo successo. In realtà Richard Branson racconta la sua storia con grande naturalezza: “Ho sempre avuto un problema di dislessia e a scuola non andavo troppo bene. L’insegnante mi disse: «Così non va, o ti metti sotto a studiare o lasci tutto». Allora ho deciso di lasciare gli studi e ho cominciato a fare ciò che trovavo interessante e divertente. Prima un magazine per studenti che ha avuto molto risalto perché erano gli anni della protesta sessantottina, poi ho aperto il mio negozio di dischi che si è in seguito trasformato in una casa discografica (la famosa Virgin Records che ha avuto tra i primi clienti i Rolling Stones and Peter Gabriel ndr). Poi un giorno mi sono guardato intorno, ho visto che c’erano degli spazi in diversi settori e ho deciso di creare la Virgin”. È stato l’inizio di tutto: “Pian piano ho poi sviluppato i vari business: dalla compagnia aerea alle telecomunicazioni e ai media, dai servizi finanziari fino al sogno di andare nello spazio. Quando volavo con le altre compagnie aeree pensavo che mancava l’attenzione al dettaglio e il servizio non era mai come lo volevo io, così ho messo su la mia compagnia aerea con le caratteristiche che cercavo nelle altre”.

La stessa cosa è accaduta con l’ispirazione dei viaggi in orbita: “Ho sempre sognato di andare nello spazio, sin da quando ero ragazzo. Mi domandavo: perché solo gli astronauti devono avere la possibilità di fare un’esperienza del genere? Tutti dovrebbero avere la possibilità di provare se volessero. E così è nata la Virgin Galactic. Ora sono 15 anni che è stata fondata e sono orgoglioso di tutti i progressi fatti per portare la gente comune, quelli come me e te, in orbita.”

Bello sentirsi dire da Richard Branson “quelli come me e te”: devo ammettere che lì mi sono sentita un po’ orgogliosa. Ma dopo averlo incontrato e aver chiacchierato con lui per una mezzoretta, ho capito che dopotutto Branson è davvero così: un uomo realizzato sotto tutti gli aspetti, nella carriera come nella vita personale, che vede gli altri come persone alla pari e ha veramente un sorriso per tutti.

Sicuramente è proprio questo che lo ha poi sempre portato anche ad aiutare gli altri. Abbiamo parlato dei suoi progetti futuri, del suo desiderio di dare una mano a chi ha bisogno, ma anche del suo impegno per il mondo intero. Dalla sua crociata umanitaria per l’Africa iniziata con Nelson Mandela alla lotta contro il riscaldamento globale, dalla scesa in campo contro le armi nucleari alla pena di morte – e questo solo per citarne alcune. Insomma per lui che è stato così fortunato, aiutare gli altri è una cosa naturale. E la passione per la filantropia l’ha già trasmessa ai suoi figli, che ormai da tempo seguono le sue orme.

Alla fine della chiacchierata, gli ho chiesto se l’impegno della giornata era finito o se ne aveva ancora per molto. “Macché”, ha replicato, “giornata lunga: appena finito qui torno a Londra, ho l’aereo stasera stessa. Rientri anche tu oggi?”, mi ha chiesto. Gli ho spiegato che mi sarei fermata a New York ancora qualche giorno prima di tornare in Gran Bretagna, ed è così arrivato il momento di congedarci. L’ho ringraziato, lui mi ha stretto la mano e con un sorriso ha aggiunto: “E mi raccomando la compagnia aerea la prossima volta!”.

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