Cultura

Generazione post-Covid: le tante prime volte dei millennials

Portrait of young woman wearing 2.5PM face mask

Di Chiara Cecchini*

Uno degli effetti positivi di questo Covid-19 è il fatto che sto finalmente ricominciando a scrivere, perché, come sta succedendo a tutti, la vita mi sta costringendo a rallentare un po’, e a cambiare la mia routine. Un mese fa esattamente ero a Tokyo, due mesi fa in Repubblica Dominicana, tre mesi fa in Italia, e quattro mesi fa a Singapore. L’anno scorso ho preso più di 100 voli, correndo da una parte all’altra di questo pianeta. E poi, il 9 marzo, tutto è cambiato.

Avete mai letto niente in merito a “costruire il proprio personaggio”? Se pensiamo alle grandi icone del passato, ai “role models” a cui oggi ci ispiriamo, sono tutti ricordati per poche cose, spesso una sola. Così un bel giorno ho preso la mia agenda e ho scritto i miei tre obiettivi, le direzioni verso le quali veicolare i miei sforzi e per cui, un giorno, vorrei essere ricordata: contribuire a un sistema alimentare sostenibile, imparare viaggiando, promuovere il benessere mio e degli altri.

Perchè proprio questi tre?
● Il settore alimentare è al vertice per il suo impatto sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Sostenere questo settore, e facilitare il passaggio a pratiche più rigenerative, è a mio parere una delle cose più efficaci che si possa fare per avere un impatto positivo sulla mitigazione dei cambiamenti climatici e quindi sul miglioramento della salute umana.
● Viaggiare è il modo più divertente che abbia trovato per alimentare la curiosità, imparare, e migliorare l’intelligenza emozionale. Credo che essere esposti a forma-mentis differenti abbia il potere di rendere chiunque una persona migliore.
● Il benessere consiste nella capacità di creare i “confini ottimali” tra se stessi e gli altri, tra
lavoro e svago, tra corpo e mente. Credo che investire su tale ottimizzazione sia la ricetta vincente per non smettere mai di stare meglio, e di conseguenza per creare valore positivo per l’ecosistema circostante. E ora che siamo tutti bloccati a casa, mantenendo social distance, in cui il settore alimentare è sotto stress come non mai, e dove mantenere la propria sanità, sia mentale che fisica, sembra pressoché impossibile, la mia domanda è: n un momento in cui i problemi, le paure e le opportunità mi sopraffanno e mi sento decisamente troppo lontana dal mio paese, chi è Chiara e come può contribuire? Dopo alcuni giorni di paralisi creativa e puro “survival mode” oggi ho deciso di rispondere a tutte queste paure analizzando come questo cambiamento sta toccando la nostra generazione Y, cosa probabilmente cambierà e cosa c’è di buono a riguardo.

È la prima volta che mettiamo seriamente in discussione gli ambienti urbani.
Sto parlando con molti amici da tutto il mondo in questi giorni: le persone che si definiscono in qualche modo felici in questo momento così tragico, sono quelle che vivono in grandi spazi fuori dai centri urbani, o quelle che vivono con più persone. La combinazione dei due è ovviamente ideale. Il piccolo appartamento in centro si sta rivelando il vero perdente e questo avrà effetto sul modo in cui vivremo nei prossimi 5-10 anni. Il tempo in cui le case sono progettate per essere quel luogo in cui trascorri qualche ora la sera prima di dormire, sta tramontando. Cercheremo spazi più grandi, progettati per trascorrere veri pezzi di vita, cercheremo un facile accesso alla natura, e cercheremo di avere famiglia e amici molto più vicini a noi.

È la prima volta che siamo seriamente preoccupati per la vita dei nostri genitori.
Per noi, la cosiddetta “generazione egoista”, narcisista ed estremamente egocentrica, è giunto il momento di essere più preoccupati per i nostri cari. I nostri genitori stanno diventando grandi, in un sistema che sta faticando a garantire un letto d’ospedale a tutti, e a garantire servizi di trasporto pubblici privi di rischi, anche noi stiamo cambiando i nostri comportamenti. Li stiamo spingendo a registrarsi su Zoom, ad acquistare Facebook Portal, o semplicemente un Mac 16”: alla fine, vogliamo fargli sentire che ci siamo. Per la prima volta, decidiamo che Facebook non è diventato troppo vecchio per noi, e siamo alla disperata ricerca di pure connessioni transgenerazionali.

È la prima volta che otteniamo grandi NO.
La nostra generazione ha avuto la fortuna di non vivere direttamente la guerra. Ricordo i miei nonni raccontarmi storie di riduzione di provviste, inseguimenti dei tedeschi sugli Appennini, e notti silenziose nella speranza di non essere catturati. E immagino sia giunto questo momento per noi. Restate a casa, nascondetevi dall’invisibile nemico del 2020 e rispettate le restrizioni a favore di una causa più grande. Nella nostra sciocca quotidianità, Amazon Prime non consegna articoli che non siano definiti di primaria necessità, i nostri ristoranti preferiti stanno chiudendo, Instacart non ha più slot di consegna disponibili fino a “data da destinarsi”, i nostri eventi preferiti sono tutti annullati, così come cene e uscite con amici. La nostra generazione viziata, che si lamenta se aspetta più di tre minuti per un Uber, vive adesso un colossale “NO”, che ci renderà tutti diversi. Non ci sono più i TaskRabbit che vengono a fare ciò di cui non abbiamo voglia: la vita ci sta spingendo a vedere ciò che sappiamo e non sappiamo fare, e il nostro istinto di sopravvivenza ci spingerà a essere sempre più autosufficienti. Il giardinaggio esploderà, così come le arti culinarie ed il DYI (doying yourself in, il fai da te): impareremo a costruire tutto ciò di cui abbiamo bisogno (anche senza Amazon Prime).

È la prima volta che avere una startup non è così “cool”.
Avere una startup in questo momento significa raccogliere fondi durante una recessione, licenziare persone, tagliare il proprio stipendio. Dov’è la fama, il coraggio e il riconoscimento sociale di essere un imprenditore? È sicuramente ancora lì, ma sta diventando sempre più difficile da vedere in questi tempi cupi. Sfortunatamente, come in ogni recessione, le avversità al rischio aumenteranno anche per la nostra generazione e in un futuro prossimo i lavori più stabili diventeranno più popolari, a discapito dall’iniziativa imprenditoriale. La notizia positiva è forse che l’imprenditore post-corona sarà più motivato, sarà una persona con una spinta ancora più forte verso il benessere sociale, e con una visione più chiara dei veri problemi su cui concentrare le proprie energie.

È la prima volta che ci rendiamo veramente conto che chi pensavamo dovesse sapere, non ha le idee poi così chiare.
Donald Trump, Matteo Salvini, Boris Johnson, solo per citarne alcuni, sono passati da “va tutto bene” a rendersi improvvisamente conto di essere in una Pandemia in cui business as usual è non solo impossibile, ma anche impensabile. E questo passaggio, ha mostrato di poter essere ripetuto in modo multidirezionale. Avevo 14 anni quando è stata istituita la Costituzione dell’Ue, e adesso l’intera rete di supporto Europea sembra messa in discussione per l’Italia. In una situazione senza precedenti, in cui alcuni dei nostri leader sono chiaramente confusi, noi giovani comprendiamo che siamo tutti umani – anche loro! – e che la politica è forse più vicina di quello che pensavamo. Questo porterà la nostra generazione a essere più coinvolta
politicamente, riducendo il divario tra ciò che percepiamo essere le nostre capacità e quelle necessarie per essere un leader.

È la prima volta che non abbiamo un punto di riferimento.
Cosa farebbe l’imprenditore dei miei sogni? Cosa farebbero i miei eroi? Cosa farebbero i miei genitori e i miei nonni? La realtà è che nessuno lo sa. E per noi, la generazione dei 25-30enni, in cui l’università segue il liceo, e poi il CV si forma a suon di aziende riconosciute o di round d’investimento chiusi, questa è probabilmente la prima volta. L’intuizione più utile che ho avuto in tutto ciò è che niente (o quasi) succede per la prima volta nel mondo. Avete paura di non avere uno stipendio pagato il mese prossimo? Anch’io, insieme a milioni di altri imprenditori, impiegati, liberi professionisti. Avete paura della morte? Lo stesso, e questo è successo a un certo punto a tutti coloro che hanno vissuto su questo pianeta. Hai paura che il mondo non sarà più lo stesso? Sono d’accordo, e il mondo è pieno di persone con cui parlarne.
Una generazione Y più umana e compatta prenderà vita da questa esperienza, una generazione che sarà più preparata ad affrontare l’incertezza e che avrà sviluppato nuove capacità per farvi fronte.

* Chiara Cecchini, 29 anni, è co-founder di Future Food Network e 30 under 30 Europe di Forbes nel 2020

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